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Dazi USA-UE, il negoziato entra nel vivo. Ma l’Europa è ancora senza voce unitaria

Virginia Saba

Il negoziato commerciale tra Stati Uniti e Unione Europea si avvicina a un punto di svolta. Dopo tre mesi di consultazioni, il Commissario europeo per il Commercio Maroš Šefčovič incontrerà il suo omologo americano per trovare un’intesa che eviti l’applicazione di dazi punitivi fino al 50% su alcune categorie di prodotti europei. Una misura annunciata e bloccata da Trump, ma che se attuata avrebbe ricadute pesanti sull’intero comparto industriale del continente. Ma è evidente ancora una volta da parte dell’Europa l’assenza di una strategia europea compatta e il rischio concreto che i singoli Stati membri seguano traiettorie divergenti.

Gli Stati Uniti propongono un dazio uniforme del 10% su circa il 70% dei beni europei esportati — inclusi settori chiave come l’automotive, l’acciaio e l’alluminio — attualmente soggetti a tariffe ben più alte: 25% per le auto, 50% per acciaio e alluminio. Bruxelles accetterebbe l’imposizione di una tariffa unica, ma chiede condizioni più favorevoli per le sue industrie più esposte.
Il Presidente di Confindustria Orsini ora informato che tenendo i dazi al 10 per cento avremmo 20 miliardi di euro in meno sulla produzione italiana e soprattutto 118 mila posti di lavoro a rischio.

La Francia, chiede all’Europa di fare coma la Cina e fare la voce grossa. Ma in assenza di una risposta coordinata, l’UE rischia di apparire divisa e più debole agli occhi di Washington.
Particolare attenzione è rivolta al settore automotive, già bersaglio di dazi mirati da parte dell’amministrazione Trump. In questo ambito, si propone la creazione di un campione europeo, in grado di competere a livello globale e preservare posti di lavoro altamente qualificati.

Se l’Europa continuerà a esitare, gli Stati Uniti potranno dettare condizioni sempre meno favorevoli. I dazi voluti da Trump — giudicati da molti analisti “politicamente motivati e tecnicamente infondati” — rappresentano uno strumento di pressione e controllo geopolitico, più che un reale strumento di riequilibrio economico.

Ora, più che mai, serve una reazione ferma e coordinata. L’Unione europea deve scegliere se restare passiva, piegandosi ai diktat americani, o se iniziare a parlare con una voce unitaria e forte.

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