Il 25 novembre si celebra la Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, come istituito dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1999, mediante la risoluzione 54/134.
La data scelta non è casuale ma è in memoria di un brutale assassinio avvenuto nel 1960, nella Repubblica Dominicana, dove le tre sorelle Mirabal, attiviste politiche, vennero torturate e uccise su ordine del dittatore Rafael Trujillo.
Nonostante la crescente consapevolezza degli ultimi anni e gli impegni assunti a livello internazionale, la violenza contro le donne è, ancora oggi, una delle più diffuse e durature violazioni dei diritti umani al mondo.
Il Ministero dell’Interno, relativamente al periodo 1 gennaio – 19 novembre 2023, ha registrato, in Italia, 295 omicidi, di cui 106 vittime donne, delle quali 87 uccise in ambito familiare/affettivo. Di queste, 55 hanno trovato la morte per mano del partner o dall’ex partner.
Stando ai dati del Viminale, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, il numero delle vittime donne è salito del +4%, così come anche il numero gli omicidi commessi dal partner o ex partner è in aumento del +3%.
Tuttavia i femminicidi rappresentano solo la punta dell’iceberg, l’aspetto più estremo, ma anche più evidente, di questo fenomeno.
La Dichiarazione sull’Eliminazione della Violenza contro le Donne, emanata dall’Assemblea Generale dell’ONU nel 1993, infatti, definisce questo fenomeno come: “qualsiasi atto di violenza fondato sul genere che abbia come risultato un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce di tali atti, la coercizione o l’arbitraria deprivazione della libertà, che occorra in pubblico o nella vita privata”.
I numeri dei femminicidi, degli abusi fisici e psicologici, ma anche della cosiddetta violenza economica, dimostrano chiaramente che non si può più considerare la violenza sulle donne un fenomeno isolato. Si tratta, piuttosto, di una questione culturale, un problema sociale che ha radici storiche ben radicate.
“La violenza sulle donne è una barbarie sociale”, ha spiegato il Capo dello Stato Sergio Mattarella, “che richiede un’azione più consapevole di severa prevenzione, concreta e costante. A questa si deve affiancare, nell’intera società, un impegno educativo e culturale contro mentalità distorte e una miserabile concezione dei rapporti tra donna e uomo“.
L’impegno a cui fa riferimento Sergio Mattarella, è lo stesso a cui esorta Elena Cecchettin, sorella di Giulia Cecchettin, la giovane donna uccisa l’11 novembre dall’ex fidanzato Filippo Turetta. Un caso, questo, che ha scosso profondamente le coscienze di tutti gli italiani.
“Per Giulia non fate un minuto di silenzio, per Giulia bruciate tutto”. Questa la frase scritta sui social da Elena Cecchettin e ispirata a una poesia del 2011 della scrittrice peruviana Cristina Torres Cáceres.
La citazione è diventata lo slogan dei sit-in organizzati in varie città italiane negli ultimi giorni. Un modo per dire addio a Giulia, ennesima vittima di femminicidio, ma anche e soprattutto per dire basta alla violenza contro le donne, un modo, cioè, di indirizzare la rabbia e il dolore generalizzati verso il necessario e sempre più urgente cambiamento socioculturale.
Il quinto Obiettivo di Sviluppo Sostenibile (SDG) prefissato dall’ONU nell’Agenda 2030, che riguarda il raggiungimento della parità di genere e l’emancipazione di tutte le donne e le ragazze, non può essere conseguito senza un impegno collettivo che porti a mettere fine alla cosiddetta VAWG (violence against women and girls). L’ONU stessa ha affermato che “la parità di genere non è solamente un diritto umano fondamentale, ma una condizione necessaria per un mondo prospero, sostenibile e in pace”.