Il rapporto tra uomo e spazio è uno dei temi più discussi in relazione alla crisi pandemica. Servono nuovi spazi? Vanno riconvertiti quelli esistenti? Che valore ha un luogo fisico, nell’era del digitale? La risposta è prima di tutto culturale. Vivere un cambio di paradigma, come quello che stiamo vivendo, non significa necessariamente sostituire l’esistente con il nuovo.
La vera sfida è abilitare esperienze nuove, rendendo ogni luogo in grado di rispondere al cambiamento e trasformarsi nel tempo. Perché ciò avvenga, ogni ambiente va concepito nel suo intero ciclo di vita. Se ci limitiamo solo alle prime due fasi, la progettazione e la realizzazione, diamo vita a soluzioni che non evolvono insieme alle persone, ma rimangono statiche e immutabili, come cattedrali nel deserto.
Ciò che siamo chiamati a fare è rivitalizzare i luoghi esistenti del vivere, connetterli digitalmente e renderli flessibili al cambiamento. Ogni luogo contiene relazioni e ogni relazione incide sul luogo che la contiene.
Per questo è opportuno presidiare le dimensioni dell’esperienza, dell’accessibilità e della disponibilità, attraverso contratti smart che rendono aperti e trasparenti i rapporti tra i diversi soggetti coinvolti. In questo senso il dato è l’elemento cruciale, perché garantisce una lettura dinamica della realtà, l’elaborazione generativa di nuovi setting reali e una capacità di agire intelligente ed autonoma